Se stai pensando di trasferirti all’estero (per studio o per lavoro) sai bene come ci si sente: agitazione, ansia e preoccupazione si alternano a entusiasmo, euforia e inspiegabile eccitazione. Sembra di stare sulle montagne russe e, spesso, non si riesce ad essere obiettivi a proposito di ciò che vogliamo e, soprattutto, a proposito di ciò di cui abbiamo realmente bisogno.
Bisogni, desideri, aspettative e realtà si intrecciano e l’unica cosa che rimane da fare è partire, sperando che tutto vada per il meglio! In una situazione emotiva come quella descritta (che va benissimo ed è normale per chi si accinge a trasferirsi) il consiglio sincero e obiettivo di qualcuno che vede le cose in maniera più “matura” e realistica risulterebbe davvero prezioso. Ecco perché mi piace molto l’intervista di oggi!
Gabriella è una giovane donna che vive e lavora a Londra e che,[su_highlight background=”#d5dbfe”]con parole semplici e mai scontate, dà preziosi consigli e interessanti spunti sulla vita e sul lavoro nella capitale britannica.[/su_highlight]Il suo sguardo sulla città è critico e sincero e Gabriella ha anche il coraggio di dire cose che pochi altri ti diranno (per esempio che Londra potrebbe non essere ciò di cui hai bisogno o che, a livello relazionale, potresti avere delle difficoltà); in effetti sono “verità scomode” per chi si mette in viaggio ed è pieno di entusiasmo! Ma possono fare davvero la differenza se è tua intenzione fare un’esperienza pienamente consapevole.
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Ciao Gabriella; innanzitutto parlaci un po’ di te: da dove vieni, quanti anni hai e di cosa ti occupi al momento?
Ciao, mi chiamo Gabriella, ho 37 anni e, per il momento, vivo e lavoro a Londra. Provengo da un percorso di studi in psicologia del lavoro e poi in psicoterapia prima a Firenze e poi a Roma. In Italia, per 10 anni, ho lavorato come libera professionista nell’ambito della consulenza, selezione e formazione aziendale. Adesso lavoro da Londra con società italiane per le quali svolgo attività di HR.
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Da quanto vivi a Londra? Ti piace? E qual è stato il motivo principale che ti ha spinta a partire?
Vivo qui da un anno e mezzo e mi trovo bene anche se Londra non era la mia prima scelta (che, invece, sarebbe stata l’America). Mi sono trasferita in Inghilterra a 36 anni, dopo 10 anni di vita professionale in Italia: sono partita un po’ tardi rispetto alla media e la mia decisione non era lavorativa o professionale, bensì personale perché il mio compagno lavorava qua. Quindi partire è stato sì un passo consapevole ma anche atipico.
Il primo periodo, appena arrivata, me lo sono preso completamente off e il 2015 è stato un anno di vera e propria scoperta della città. Non ho lavorato ma ho svolto attività di selezione e reclutamento per un paio di strutture anche se non lo considero un lavoro perché, in realtà, gestivo l’attività a mio piacimento e, soprattutto, la svolgevo in cambio di servizi.
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In che senso in cambio di servizi?
Questa è una cosa che a Londra è diffusa e credo sia parecchio utile:[su_highlight background=”#d5dbfe”]la città ti permette di svolgere tantissime attività di volontariato che possono aprire a dei contatti di lavoro molto più che in Italia e in cambio delle quali puoi avere un servizio.[/su_highlight]Mettiamo, per esempio, che tu voglia frequentare un corso di inglese ma che non abbia abbastanza soldi per pagarlo; in questo caso ci sono alcune scuole presso le quali puoi fare volontariato e avere in cambio un servizio (per esempio un corso di inglese).
Questo ti dà la possibilità di gestirti economicamente in un modo che per noi italiani è poco pensabile: in Italia siamo abituati a pagare tutti i servizi di cui usufruiamo e quasi mai il lavoro è ricambiato in questo modo!
Se però non hai tempo per questo, un’altra attività molto praticata a Londra è lo scambio culturale e linguistico con persone che vengono da altri paesi: per esempio tu, italiana, vuoi imparare lo spagnolo ma non vuoi frequentare un corso in una scuola. Troverai molti siti (uno fra tutti è Gumtree) con tante persone interessate a fare scambi di questo tipo: impari lo spagnolo da persone interessate a conoscere gli italiani e la loro cultura.
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Sembra davvero molto utile per qualcuno appena arrivato in città.
Sì, perché è anche un modo per fare amicizia se sei appena arrivato e non hai una rete sociale attorno: infatti chi è disponibile a questi scambi è, di solito, molto interessato ad allargare la propria rete di conoscenze o di amicizie. Oppure è interessato alla cultura da cui provieni: io ho riscontrato grande curiosità e interesse (ma anche un po’ di pregiudizio) nei confronti della cultura italiana; in particolare gli stranieri sono attratti da quella che a parer loro è[su_highlight background=”#d5dbfe”]una qualità della vita migliore, un clima migliore, buon cibo, mare e sole. Ma sono interessati anche all’aspetto delle relazioni perché Londra è una città che può spaventare molto da questo punto di vista.[/su_highlight]
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Davvero Londra può essere problematica a livello relazionale?
Proprio così: si tratta di[su_highlight background=”#d5dbfe”]un ambiente molto chiuso.[/su_highlight]Ma credo che dipenda anche da quale parte dell’Italia provieni: qua ho conosciuto molte persone del nord che, abituati a una cultura sicuramente meno aperta rispetto a quella del centro-meridione, non hanno fatto grossa fatica ad ambientarsi; per loro è abbastanza normale il modo di interagire.
Ma, per esempio, per un toscano la differenza è palpabile.
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Pensi che un ragazzo che arriva a Londra per studio o per lavoro possa superare facilmente questo scoglio?
Assolutamente sì; è un ostacolo che si supera molto facilmente. Per me non è stato traumatico ma è stato comunque difficile perché la mia è un’esperienza atipica in termini di età.
[su_highlight background=”#d5dbfe”]Ma, di solito, le persone arrivano a Londra con poca esperienza di vita e di lavoro e questo permette loro una maggiore facilità di inserimento.[/su_highlight]
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Hai la percezione che le possibilità lavorative e personali siano diverse rispetto all’Italia? Sono più numerose e, magari, più facili da cogliere?
Sicuramente sì. In più c’è un approccio al lavoro molto meno coerente ed omogeneo rispetto a quello italiano:[su_highlight background=”#d5dbfe”]in Italia un ragazzo di 30 anni che ha già 5 anni di esperienza lavorativa in un certo settore, fa fatica a cambiare ambito anche perché noi italiani tendiamo ad essere più specialistici.[/su_highlight]
Ma in Inghilterra se hai 40 anni e decidi di intraprendere una carriera nuova, lo puoi fare! Per esempio io sto frequentando un corso in un settore completamente differente dal mio: prenderò il diploma per diventare terapista massaggi; nel mio corso ci sono persone provenienti da mille ambiti e, in molti casi, si tratta di persone che vogliono cambiare vita!
Tutto questo è possibile anche perché Londra è abitata per il 50% da stranieri e gli inglesi sono molto abituati a questo gran viavai di persone: in tantissimi arrivano, stanno in città per un po’ di anni, imparano qualcosa e poi tornano a casa.[su_highlight background=”#d5dbfe”]Spesso, con ciò che hanno imparato a Londra, costruiscono qualcosa di nuovo e diverso nel loro paese.[/su_highlight]
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Il tuo titolo di studio italiano è stato immediatamente riconosciuto o hai dovuto sostenere esami?
Se lavori come consulente aziendale non hai bisogno di equipollenze o documenti specifici per lavorare perché il titolo è europeo ma, nel caso della psicologia, le cose sono un po’ diverse: gli inglesi considerano lo psicologo quello clinico, non quello del lavoro (il mio titolo in Italia). Infatti, per poter esercitare come psicologo a tutti gli effetti, dovrei fare richiesta per il riconoscimento e, dei miei 5 anni di laurea italiana, ne sarebbero riconosciuti solo 3.
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È semplice lavorare con aziende italiane da Londra?
Sì, assolutamente. E per me è anche la soluzione migliore; mi permette, infatti, di respirare un’aria di rinnovamento che in Italia è molto meno presente: qui ci sono aziende che crescono in modo esponenziale e l’ambiente è sicuramente creativo.
Comunque, per tornare alla domanda, lavorare da qua con aziende italiane è semplice ma dipende anche dal lavoro che fai;[su_highlight background=”#d5dbfe”]se fai consulenza è assolutamente fattibile lavorare da Londra e promuovere servizi di aziende italiane.[/su_highlight]
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E a livello fiscale ci sono dei vantaggi?
È sicuramente più vantaggioso: in Italia avevo la partita Iva e la tassazione era (ed è) del 40% sul totale, a prescindere da quanto guadagnavo. Qui, invece,[su_highlight background=”#d5dbfe”]ci sono scaglioni di importi e si è tassati a seconda di quanto si guadagna.[/su_highlight] Sotto le £11.000 si è free tax; fino alle £30.000 si paga il 20% e fino alle £50.000 si paga il 40% ma non sul totale: sulla differenza fra il primo scaglione e il secondo. E poi si possono scaricare le spese per intero; questo in Italia non è possibile!
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Quali sono i documenti necessari per vivere e lavorare in UK?
La prima cosa da fare quando si parte per Londra è scegliere se spostare o meno la propria residenza: ovviamente conviene portarla qui perché è più facile trovare un impiego e perché solo così si può avere la copertura sanitaria.
In secondo luogo si deve fare richiesta per il NIN, il corrispettivo inglese del nostro codice fiscale; è obbligatorio perché proprio a questo “si aggancia” la tassazione ed è necessario anche per aprire la posizione da self employed. Poi ci sono altri documenti che non sono obbligatori ma servono solo per facilitare la vita dei cittadini (per esempio l’assegnazione del medico o del dentista); insomma, per essere davvero un “cittadino della città”.
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Qual era il tuo livello di inglese quando sei arrivata? Hai avuto difficoltà?
Quando sono arrivata avevo un livello advanced, quindi il mio inglese era discreto.[su_highlight background=”#d5dbfe”]Ma penso che, venendo qua, si debba sottodimensionare il livello raggiunto in Italia perché la difficoltà reale è data dalla miriade di accenti e dalla velocità con cui gli altri parlano.[/su_highlight]In generale credo che se hai aspettative professionali importanti sia meglio arrivare con un livello già alto; se, invece, arrivi con l’aspettativa di svolgere attività ad un livello più basso non è necessario avere un C1: con il tempo e la pratica quotidiana l’inglese migliorerà.
E poi vorrei suggerire una cosa che ho provato sulla mia pelle: durante l’anno precedente alla mia partenza avrei dovuto fare più addestramento di ascolto della BBC, un canale tv in cui si parla un inglese standard, chiaro e comprensibile che non è molto presente in città ma che aiuta molto a imparare l’inglese “buono”.
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Hai progetti per il futuro? Resterai a Londra?
Non saprei. Vorrei mantenere i miei progetti lavorativi con l’Italia ma vorrei anche continuare a spostarmi; l’ideale sarebbe lavorare con aziende italiane che decidono di aprire sedi all’estero. Amo la cultura italiana e continuo ad amarla nonostante tutti i difetti che abbiamo; magari potrei lavorare in patria spostandomi all’estero di frequente.
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Una cosa che ti piace e una che non ti piace della vita a Londra.
Una cosa che mi piace di Londra, oltre al tempo (sembrerà strano ma mi piace!), è l’inaspettato; nel senso che qui niente è ciò che ti aspetti. Per esempio, quando sono andata a prendere il NIN mi trovavo in un ufficio locale ma non sono riuscita a trovare una persona con lo stesso accento o della stessa nazionalità di un’altra. Ovunque tu entri non sai mai chi ti accoglierà, chi ti troverai davanti, che storia avrà alle spalle.
La cosa che, invece, mi piace meno è sicuramente[su_highlight background=”#d5dbfe”]l’eccessivo formalismo. In questa città convivono opposti e ambivalenze forti; le differenze non sono in conflitto ma neppure dialogano e la città risulta frazionata e non così integrata come potremmo pensare.[/su_highlight]
Tutto è peaceful e c’è grande coscienza civile ma, di fatto, i diversi gruppi rimangono separati con le loro abitudini e la loro cultura.
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Cosa consiglieresti a chi desidera trasferirsi in UK?
Penso che la cosa più importante sia mettere a fuoco le proprie priorità e avere ben chiaro il motivo per cui si parte. Una volta individuato il motivo penso si debba tenerlo bene in mente (come un “obiettivo”) per un anno e mezzo/due (il minimo, secondo me, per capire se una città ti piace o no).[su_highlight background=”#d5dbfe”]L’importante è che si tratti di una scelta pienamente consapevole e in linea con i propri reali bisogni.[/su_highlight]